MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

martedì 31 gennaio 2012

San Giovanni Bosco, sacerdote

Giovanni nasce il 16 agosto 1815 ai Becchi, un gruppo di case che fa parte di Murialdo, frazione di Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco). All'età di due anni muore papà Francesco, lasciando la mamma Margherita, di appena 29 anni, sola e con tre bambini. Mamma Margherita non si risposa, come sarebbe stato opportuno in quel periodo, ma, da donna energica, concreta e di grande fede qual'è, non si perde d'animo. Si occupa del lavoro in campagna e dell'educazione dei figli. Mamma Margherita è una campagnola come tante del suo tempo, con una fede granitica con la quale educa i suoi figli: "viveva il Deuteronomio alla monferrina, tra la stalla, il campo, il pollaio, il mercato di Castelnuovo e la chiesa" (Don Bosco - D. Agasso Edizioni Paoline pag 17). E' analfabeta però ha una buona memoria e tutto l'insegnamento religioso ricevuto dal parroco, lo trasmette ai figli. Così Giovanni apprende dalla mamma la 'Sacra Storia'. A nove anni fa un sogno che segna per sempre la sua vita. Nel 1826 viene mandato a lavorare come garzone a Moncucco nella cascina Moglia, dove vi rimane fino al 1829. E' un ragazzino laborioso, obbediente che va sempre in chiesa nelle ore libere. Si prepara nel cuore a diventare sacerdote ed occuparsi dei giovani così come il sogno gli aveva preannunciato. Tornato a casa, nel novembre 1829 incontra don Giovanni Calosso, il parroco del paese che lo fa studiare e nel contempo lo forma in materia di vocazione sacerdotale. Nel 1831 parte per Chieri (in provincia di Torino) per studiare in seminario. E' studente brillante, molto intelligente, con una memoria strabiliante! Viene ordinato sacerdote il 5 giugno 1841 e inviato come aiutante del parroco a Castelnuovo (AT). Il 3 novembre 1841 entra, su invito di don Cafasso, nel 'Convitto ecclesiastico' per studiare la morale e la predicazione. Così don Bosco, predicando nelle chiese di Torino, comincia a conoscere la triste realtà della città in quegli anni di precarietà, di povertà e di stravolgimenti sociali che vedono concretizzarsi l'unità d'Italia, tra moti, ribellioni ed usurpazioni. L'8 dicembre 1841 nasce il suo primo Oratorio. Il primo giovane è Bartolomeo Garelli, sedicenne, orfano ed analfabeta. Lo seguiranno in molti fino a diventare più di trecento nel 1846. Don Bosco si occupa di loro come un padre: insegna loro a leggere e scrivere, ma soprattutto li educa alla fede e al lavoro. Nel 1844 conosce la marchesa Giulia Colbert de Maulevrier, aristocratica vandeana, con drammatici ricordi della rivoluzione francese, vedova del marchese Tancredi Falletti di Barolo che sarà sempre pronta ad aiutarlo anche economicamente. Nel 1846, dopo molte peregrinazioni l'Oratorio si trasferisce a Valdocco, presso casa Pinardi. Mamma Margherita si trasferisce a Torino per aiutare il figlio e diventa la mamma di tutti i giovani che lo frequentano. Don Bosco è scrittore ed editore; scrive libri di storia, sul sistema metrico decimale. Nel 1869 nasce la Pia Società Salesiana che avrà case in tutto il mondo. Muore il 31 gennaio 1888. Ci lascia una grande eredità di santità. E' un grande santo forte e intraprendente, ci insegna l'amore e la fedeltà a Dio, alla Sua Chiesa e il grande senso di carità verso il prossimo più bisognoso.

I luoghi di don Bosco mi sono particolarmente cari e familiari, essi non distano molto dal luogo dove vivo e ritornarci di tanto in tanto mi fa bene. Mi piace incontrarlo nel paese dove nacque, visitare la sua casa ma soprattutto respirare la presenza di mamma Margherita! 


Ho tante foto dei luoghi di don Bosco, ma nessuna (a parte questa) digitale. Prometto di andarvi al più presto per fare altre foto da poter pubblicare e farvi così conoscere dove visse questo straordinario santo! 


                                                                     

sabato 28 gennaio 2012

San Tommaso d'Aquino, dottore della Chiesa

Nasce verso la fine del 1225 dalla famiglia dei Conti D'Aquino nel Castello di Roccasecca nei pressi di Frosinone. Ancora piccolo, a soli cinque anni viene mandato come 'oblato' all'Abbazia di Montecassino. Nel 1224 decide di entrare nell'Ordine dei Predicatori (Domenicani) di Napoli. Viene mandato a Colonia a studiare con San Leone Magno. A soli 27 anni insegna alla Sorbona di Parigi. Nel 1259 rientra in Italia per continuare ad insegnare. Muore a 49 anni il 7 marzo 1274. La memoria si celebra oggi per ricordare la traslazione del suo corpo a Tolosa nel 1369. Ebbe grandi doni mistici e visioni. Fu eccelso teologo e filosofo. Ci lascia innumerevoli e pregevoli scritti. Andate QUI per saperne di più.

DALLE 'CONFERENZE' DI SAN TOMMASO D'AQUINO

Fu necessario che il Figlio di Dio soffrisse per noi? Molto, e possiamo parlare di una duplice necessità: come rimedio contro il peccato e come esempio nell'agire. Fu anzitutto un rimedio, perchè è nella passione di Cristo che troviamo rimedio contro tutti i mali in cui possiamo incorrere per i nostri peccati.
Ma non minore è l'utilità che ci viene dal suo esempio. La passione di Cristo, infatti, è sufficiente per orientare tutta la nostra vita. Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù infatti è assente dalla croce. Se cerchi un esempio di carità, ricorda: " Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici " (Gv 15,13). Questo ha fatto Cristo sulla croce. E quindi, se egli ha dato la sua vita per noi, non ci deve essere pesante sostenere qualsiasi male per lui.
Se cerchi un esempio di pazienza, ne trovi uno quanto mai eccellente sulla croce. La pazienza infatti si giudica grande in due circostanze: o quando uno sopporta pazientemente grandi avversità, o quando si sostengono avversità che si potrebbero evitare, ma non si evitano. Ora Cristo ci ha dato sulla croce l'esempio dell'una e dell'altra cosa. Infatti "quando soffriva non minacciava" (1 Pt 2,23) e come un agnello fu condotto alla morte e non aprì la sua bocca(cfr At 8,32). Grande è dunque la pazienza di Cristo sulla croce: "Corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia" (Eb 12,2).
Se cerchi un esempio di umiltà, guarda il crocifisso: Dio, infatti, volle essere giudicato sotto Ponzio Pilato e morire.
Se cerchi un esempio di obbedienza, segui colui che si fece obbediente al Padre fino alla morte: "Come per la disobbedienza di uno solo, cioè di Adamo, tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti" (Rm 5,19).
Se cerchi un esempio di disprezzo delle cose terrene, segui colui che è il Re dei re e il Signore dei signori, "nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). Egli è nudo sulla croce, schernito, sputacchiato, percosso, coronato di spine, abbeverato con aceto e fiele.
Non legare dunque il tuo cuore alle vesti ed alle ricchezze, perchè "si son divise tra loro le mie vesti" (Gv 19,24); non agli onori , perchè ho provato gli oltraggi e le battiture (cfr Is 53,4); non alle dignità, perchè intrecciata una corona di spine, la misero sul mio capo (cfr Mc 15,17); non ai piaceri , perchè "quando avevo sete mi han dato da bere aceto" (Sal 68,22). 

PREGHIERA DI SAN TOMMASO   
Signore, mio Dio, donami un cuore vigile, che nessun pensiero vano allontani da te; un cuore nobile che nessun attaccamento ambiguo degradi; un cuore retto che nessuna intenzione cattiva possa sviare; un cuore fermo che resista ad ogni avversità; un cuore libero che nessuna violenza possa soggiogare. Concedimi, Signore mio Dio, un'intelligenza che ti conosca, un amore che ti cerchi, una sapienza che ti trovi, una vita che ti piaccia, una perseveranza che ti attenda con fiducia, e la speranza di poterti finalmente abbracciare. Amen

venerdì 27 gennaio 2012

Sant'Angela Merici, vergine

Nasce verso il 1470 a Desenzano del Garda (BS)in una povera famiglia contadina. Giovanissima entra a far parte delle Terziarie Francescane. Perde entrambi i genitori all'età di 15 anni. Nel 1535 fonda a Brescia la Compagnia di Sant'Orsola, con la missione di prendersi cura dell'educazione delle giovani donne. Muore il 27 gennaio 1540. Per saperne di più cliccate QUI .
DAL 'TESTAMENTO SPIRITUALE' DI SANT'ANGELA MERICI

Mie carissime madri e sorelle in Gesù Cristo, sforzatevi coll'aiuto della grazia, di acquistare e conservare in voi tale intenzione e sentimento buono, da essere mosse alla cura e al governo della Compagnia solo per amore di Dio e per lo zelo della salute delle anime. Se tutte le vostre opere saranno così radicate in questa duplice carità, non potranno portare se non buoni e salutiferi frutti. Perciò dice il Salvator nostro: " Un albero buono non può produrre frutti cattivi" (Mt 7,18) come volesse dire che il cuore, quando è informato alla carità, non può produrre se non buone e sante opere. Onde ancora diceva Sant'Agostino: Ama e fa quel che vuoi, come se dicesse chiaramente: La carità non può peccare. Vi supplico ancora di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le vostre figliuole ad una ad una; e non solo i loro nomi ma ancora la condizione e indole e stato ed ogni cosa loro. Il che non vi sarà così difficile, se le abbraccerete con viva carità.
Anche le madri secondo la carne, se avessero mille figliuoli, tutti se li terrebbero nell'animo totalmente fissi ad uno ad uno, perchè così opera il vero amore. Anzi pare che, quanti più ne hanno, tanto più cresca l'amore e la cura particolare per ciascuno. Maggiormente le madri secondo lo spirito possono e devono far questo, perchè l'amore secondo lo spirito è, senza confronto, molto più potente dell'amore secondo la carne. Dunque, mie carissime madri, se amerete queste nostre figliuole con viva e sviscerata carità, sarà impossibile che non le abbiate tutte particolarmente impresse nella memoria e nel cuore.
Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, e non imperiosamente nè con asprezza; ma in tutto vogliate essere piacevoli. Ascoltate Gesù Cristo che raccomanda: "Imparate da me che sono mite ed umile di cuore" (Mt 11,29); e di Dio si legge che 'governa con bontà eccellente ogni cosa' (Sap 8,1). E ancora Gesù Cristo dice: "Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11,30).
Ecco perchè dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poichè Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia. Non dico però che alle volte non si debba usare qualche riprensione ed asprezza a tempo e luogo secondo l'importanza, la condizione e il bisogno delle persone, ma solamente dobbiamo essere mosse a questo dalla carità e dallo zelo delle anime.

Trovo che questi consigli di santa Angela possano essere benissimo accolti da tutti coloro che, in vario ordine e grado, si occupano dell'educazione giovanile, ma soprattutto da tutte le mamme di buona volontà!

giovedì 26 gennaio 2012

Santi Timoteo e Tito, vescovi

I santi Timoteo e Tito sono stati convertiti da san Paolo e ne sono diventati stretti collaboratori e ne hanno condiviso le fatiche missionarie. Timoteo è stato vescovo di Efeso e Tito di Creta. Sono i destinatari di due lettere di san Paolo.
Questa è una riflessione del Santo Padre Benedetto XVI sui due santi, tratta dal sito ufficiale della Santa Sede.

Timoteo e Tito

Cari fratelli e sorelle,

dopo aver parlato a lungo del grande apostolo Paolo, prendiamo oggi in considerazione i suoi due collaboratori più stretti: Timoteo e Tito. Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito.

Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione, anche se Luca non ritiene di raccontarci tutto ciò che lo riguarda. L'Apostolo infatti lo incaricò di missioni importanti e vide in lui quasi un alter ego, come risulta dal grande elogio che ne traccia nella Lettera ai Filippesi: «Io non ho nessuno d'animo tanto uguale (isópsychon) come lui, che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre » (2,20).

Timoteo era nato a Listra (circa 200 km a nord-ovest di Tarso) da madre giudea e padre pagano (cfr At 16,1). Il fatto che la madre avesse contratto un matrimonio misto e non avesse fatto circoncidere il figlio lascia pensare che Timoteo sia cresciuto in una famiglia non strettamente osservante, anche se è detto che conosceva le Scritture fin dall’infanzia (cfr 2 Tm 3,15). Ci è stato trasmesso il nome della madre, Eunice, ed anche quello della nonna, Loide (cfr 2 Tm 1,5). Quando Paolo passò per Listra all'inizio del secondo viaggio missionario, scelse Timoteo come compagno, poiché «egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio» (At 16,2), ma lo fece circoncidere «per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni» (At 16,3). Insieme con Paolo e Sila, Timoteo attraversò l'Asia Minore fino a Troade, da dove passò in Macedonia. Siamo inoltre informati che a Filippi, dove Paolo e Sila furono coinvolti nell'accusa di disturbatori dell’ordine pubblico e vennero imprigionati per essersi opposti allo sfruttamento di una giovane ragazza come indovina da parte di alcuni individui senza scrupoli (cfr At 16,16-40), Timoteo fu risparmiato. Quando poi Paolo fu costretto a proseguire fino ad Atene, Timoteo lo raggiunse in quella città e da lì venne inviato alla giovane Chiesa di Tessalonica per avere notizie e per confermarla nella fede (cfr 1 Ts 3,1-2). Si ricongiunse poi con l'Apostolo a Corinto, portandogli buone notizie sui Tessalonicesi e collaborando con lui nell’evangelizzazione di quella città (cfr 2 Cor 1,19).

Ritroviamo Timoteo a Efeso durante il terzo viaggio missionario di Paolo. Da lì probabilmente l’Apostolo scrisse a Filemone e ai Filippesi, e in entrambe le lettere Timoteo risulta co-mittente (cfr Fm 1; Fil 1,1). Da Efeso Paolo lo inviò in Macedonia insieme a un certo Erasto (cfr At 19,22) e poi anche a Corinto con l'incarico di recarvi una lettera, nella quale raccomandava ai Corinzi di fargli buona accoglienza (cfr 1 Cor 4,17; 16,10-11). Lo ritroviamo ancora come co-mittente della Seconda Lettera ai Corinzi, e quando da Corinto Paolo scrive la Lettera ai Romani vi unisce, insieme a quelli degli altri, i saluti di Timoteo (cfr Rm 16,21). Da Corinto il discepolo ripartì per raggiungere Troade sulla sponda asiatica del Mar Egeo e là attendere l'Apostolo diretto verso Gerusalemme a conclusione del terzo viaggio missionario (cfr At 20,4). Da quel momento sulla biografia di Timoteo le fonti antiche non ci riservano che un accenno nella Lettera agli Ebrei, dove si legge: «Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui» (13,23). In conclusione, possiamo dire che la figura di Timoteo campeggia come quella di un pastore di grande rilievo. Secondo la posteriore Storia ecclesiastica di Eusebio, Timoteo fu il primo Vescovo di Efeso (cfr 3,4). Alcune sue reliquie si trovano dal 1239 in Italia nella Cattedrale di Termoli nel Molise, provenienti da Costantinopoli.

Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Gal 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo libero dai condizionamenti della legge mosaica. Nella Lettera a lui indirizzata, l'Apostolo lo elogia definendolo «mio vero figlio nella fede comune» (Tt 1,4). Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all’obbedienza. Tito riportò la pace tra la Chiesa di Corinto e l’Apostolo, che ad essa scrisse in questi termini: «Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito, e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me... A questa nostra consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito, poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi» (2 Cor 7,6-7.13). A Corinto Tito fu poi ancora rimandato da Paolo - che lo qualifica come «mio compagno e collaboratore» (2 Cor 8,23) - per organizzarvi la conclusione delle collette a favore dei cristiani di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8,6). Ulteriori notizie provenienti dalle Lettere Pastorali lo qualificano come Vescovo di Creta (cfr Tt 1,5), da dove su invito di Paolo raggiunse l'Apostolo a Nicopoli in Epiro (cfr Tt 3,12). In seguito andò anche in Dalmazia (cfr 2 Tm 4,10). Siamo sprovvisti di altre informazioni sugli spostamenti successivi di Tito e sulla sua morte.

Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l'apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole, e proprio in questo tempo di Avvento essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.

mercoledì 25 gennaio 2012

Conversione di San Paolo, Apostolo



Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al Sommo Sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: "Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti?". Rispose: "Chi sei, o Signore?". Ed egli: "Io sono Gesù, che tu perseguiti". (At 1,5). 
Saulo da persecutore diventa fervente apostolo di Cristo. Comincia così il suo personale viaggio sulla 'Barca di Pietro' per annunziare al mondo intero la Verità. 

Oggi termina la settimana di preghiera per l'unità dei Cristiani. 

QUESTE LE PAROLE DEL SANTO PADRE ALL'INIZIO DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA
TESTO TRATTO DAL SITO UFFICIALE DELLA SANTA SEDE


Settimana di Preghiera per l'Unità dei Cristiani
Cari fratelli e sorelle!
Inizia oggi la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che, da oltre un secolo, viene celebrata ogni anno da cristiani di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, per invocare quel dono straordinario per cui lo stesso Signore Gesù ha pregato durante l’Ultima Cena, prima della sua passione: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). La pratica della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani fu introdotta nel 1908 da Padre Paul Wattson, fondatore di una comunità religiosa anglicana che entrò in seguito nella Chiesa cattolica. L’iniziativa ricevette la benedizione del Papa san Pio X e fu poi promossa dal Papa Benedetto XV, che ne incoraggiò la celebrazione in tutta la Chiesa cattolica con il Breve Romanorum Pontificum, del 25 febbraio 1916.
L’ottavario di preghiera fu sviluppato e perfezionato negli anni trenta del secolo scorso dall’Abbé Paul Couturier di Lione, che sostenne la preghiera “per l’unità della Chiesa così come vuole Cristo e conformemente agli strumenti che Lui vuole”. Nei suoi ultimi scritti, l’Abbé Couturier vede tale Settimana come un mezzo che permette alla preghiera universale di Cristo di “entrare e penetrare nell’intero Corpo cristiano”; essa deve crescere fino a diventare “un immenso, unanime grido di tutto il Popolo di Dio”, che chiede a Dio questo grande dono. Ed è precisamente nella Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani che l’impulso impresso dal Concilio Vaticano II alla ricerca della piena comunione tra tutti i discepoli di Cristo trova ogni anno una delle sue più efficaci espressioni. Questo appuntamento spirituale, che unisce cristiani di tutte le tradizioni, accresce la nostra consapevolezza del fatto che l’unità verso cui tendiamo non potrà essere solo il risultato dei nostri sforzi, ma sarà piuttosto un dono ricevuto dall’alto, da invocare sempre.
Ogni anno i sussidi per la Settimana di Preghiera vengono preparati da un gruppo ecumenico di una diversa regione del mondo. Vorrei soffermarmi su questo punto. Quest’anno, i testi sono stati proposti da un gruppo misto composto da rappresentanti della Chiesa cattolica e del Consiglio Ecumenico Polacco, che comprende varie Chiese e Comunità ecclesiali del Paese. La documentazione è stata poi rivista da un comitato composto da membri del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e della Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Anche questo lavoro fatto insieme in due tappe è un segno del desiderio di unità che anima i cristiani e della consapevolezza che la preghiera è la via primaria per raggiungere la piena comunione, perché uniti verso il Signore andiamo verso l'unità. Il tema della Settimana di quest’anno - come abbiamo sentito - è preso dalla Prima Lettera ai Corinzi: - “Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58), la sua vittoria ci trasformerà. E questo tema è stato suggerito dall’ampio gruppo ecumenico polacco che ho citato, il quale, riflettendo sulla propria esperienza come nazione, ha voluto sottolineare quanto forte sia il sostegno della fede cristiana in mezzo a prove e sconvolgimenti, come quelli che hanno caratterizzato la storia della Polonia. Dopo ampie discussioni è stato scelto un tema incentrato sul potere trasformante della fede in Cristo, in particolare alla luce dell’importanza che essa riveste per la nostra preghiera in favore dell’unità visibile della Chiesa, Corpo di Cristo. Ad ispirare questa riflessione sono state le parole di san Paolo che, rivolgendosi alla Chiesa in Corinto, parla della natura temporanea di ciò che appartiene alla nostra vita presente, segnata anche dall’esperienza di “sconfitta” del peccato e della morte, in confronto a ciò che porta a noi la “vittoria” di Cristo sul peccato e sulla morte nel suo Mistero pasquale.
La storia particolare della nazione polacca, che ha conosciuto periodi di convivenza democratica e di libertà religiosa, come nel XVI secolo, è stata segnata, negli ultimi secoli, da invasioni e disfatte, ma anche dalla costante lotta contro l’oppressione e dalla sete di libertà. Tutto questo ha indotto il gruppo ecumenico a riflettere in maniera più approfondita sul vero significato di “vittoria” - che cosa è la vittoria - e di “sconfitta”. Rispetto alla “vittoria” intesa in termini trionfalistici, Cristo ci suggerisce una strada ben diversa, che non passa attraverso il potere e la potenza. Egli infatti afferma: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9,35). Cristo parla di una vittoria attraverso l’amore sofferente, attraverso il servizio reciproco, l’aiuto, la nuova speranza e il concreto conforto donati agli ultimi, ai dimenticati, ai rifiutati. Per tutti i cristiani, la più alta espressione di tale umile servizio è Gesù Cristo stesso, il dono totale che fa di Se stesso, la vittoria del suo amore sulla morte, nella croce, che splende nella luce del mattino di Pasqua. Noi possiamo prendere parte a questa “vittoria” trasformante se ci lasciamo noi trasformare da Dio, solo se operiamo una conversione della nostra vita e la trasformazione si realizza in forma di conversione. Ecco il motivo per cui il gruppo ecumenico polacco ha ritenuto particolarmente adeguate per il tema della propria meditazione le parole di San Paolo: “Tutti saremo trasformati” dalla vittoria di Cristo, nostro Signore” (cfr 1 Cor 15,51-58).
La piena e visibile unità dei cristiani, a cui aneliamo, esige che ci lasciamo trasformare e conformare, in maniera sempre più perfetta, all’immagine di Cristo. L’unità per la quale preghiamo richiede una conversione interiore, sia comune che personale. Non si tratta semplicemente di cordialità o di cooperazione, occorre soprattutto rafforzare la nostra fede in Dio, nel Dio di Gesù Cristo, che ci ha parlato e si è fatto uno di noi; occorre entrare nella nuova vita in Cristo, che è la nostra vera e definitiva vittoria; occorre aprirsi gli uni agli altri, cogliendo tutti gli elementi di unità che Dio ha conservato per noi e sempre nuovamente ci dona; occorre sentire l’urgenza di testimoniare all’uomo del nostro tempo il Dio vivente, che si è fatto conoscere in Cristo.
Il Concilio Vaticano II ha posto la ricerca ecumenica al centro della vita e dell’operato della Chiesa: “Questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all’opera ecumenica” (Unitatis redintegratio, 4). Il beato Giovanni Paolo II ha sottolineato la natura essenziale di tale impegno, dicendo: “Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale ad un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all’essere stesso di questa comunità” (Enc. Ut unum sint, 9). Il compito ecumenico è dunque una responsabilità dell’intera Chiesa e di tutti i battezzati, che devono far crescere la comunione parziale già esistente tra i cristiani fino alla piena comunione nella verità e nella carità. Pertanto, la preghiera per l’unità non è circoscritta a questa Settimana di Preghiera, ma deve diventare parte integrante della nostra orazione, della vita orante di tutti i cristiani, in ogni luogo e in ogni tempo, soprattutto quando persone di tradizioni diverse s’incontrano e lavorano insieme per la vittoria, in Cristo, su tutto ciò che è peccato, male, ingiustizia, violazione della dignità dell’uomo.
Da quando il movimento ecumenico moderno è nato, oltre un secolo fa, vi è sempre stata una chiara consapevolezza del fatto che la mancanza di unità tra i cristiani impedisce un annuncio più efficace del Vangelo, perché mette in pericolo la nostra credibilità. Come possiamo dare una testimonianza convincente se siamo divisi? Certamente, per quanto riguarda le verità fondamentali della fede, ci unisce molto più di quanto ci divide. Ma le divisioni restano, e riguardano anche varie questioni pratiche ed etiche, suscitando confusione e diffidenza, indebolendo la nostra capacità di trasmettere la Parola salvifica di Cristo. In questo senso, dobbiamo ricordare le parole del beato Giovanni Paolo II, che nella sua Enciclica Ut unum sint parla del danno causato alla testimonianza cristiana e all’annuncio del Vangelo dalla mancanza di unità (cfr nn. 98, 99). E’ una grande sfida questa per la nuova evangelizzazione, che può essere più fruttuosa se tutti i cristiani annunciano insieme la verità del Vangelo di Gesù Cristo e danno una risposta comune alla sete spirituale dei nostri tempi.
Il cammino della Chiesa, come quello dei popoli, è nelle mani del Cristo risorto, vittorioso sulla morte e sull’ingiustizia che Egli ha portato e ha sofferto a nome di tutti. Egli ci fa partecipi della sua vittoria. Solo Lui è capace di trasformarci e renderci, da deboli e titubanti, forti e coraggiosi nell’operare il bene. Solo Lui può salvarci dalle conseguenze negative delle nostre divisioni. Cari fratelli e sorelle, invito tutti ad unirsi in preghiera in modo più intenso durante questa Settimana per l’Unità, perché cresca la testimonianza comune, la solidarietà e la collaborazione tra i cristiani, aspettando il giorno glorioso in cui potremo professare insieme la fede trasmessa dagli Apostoli e celebrare insieme i Sacramenti della nostra trasformazione in Cristo. Grazie.