MITTITE RETE ET INVENIETIS

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: "Io vado a pescare". Gli dissero: " Veniamo anche noi con te". Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando era già l'alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: " Figlioli, non avete nulla da mangiare?" Gli risposero: "No". Allora egli disse loro: " Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse:" E' il Signore!". (Gv 21, 1-7)

post scorrevoli

martedì 29 ottobre 2013

Beata Chiara Luce Badano

Chiara Badano nasce a Savona il 29 ottobre 1971. A nove anni conosce i focolarini di Chiara Lubich ed entra a far parte del GEN. Chiara è' una bella ragazza, solare, sorridente, sportiva, dinamica, simpatica, vivace. Vive la fede nella gioia, nella gratitudine e nella  costante consapevolezza che Gesù Cristo è la Via, la Verità e la Vita da testimoniare ogni giorno, non tanto con le parole, quanto con il comportamento conforme alla sua Volontà. Dice infatti: «Io non devo dire di Gesù, ma devo dare Gesù con il mio comportamento». All'età di 17 anni, alla fine della quinta ginnasio Chiara appare pallida, sorride meno, è stanca. Nell’estate, durante una partita di tennis sente un lancinante dolore alla spalla. Inizia l'iter diagnostico fino alla terribile diagnosi, Chiara ha un cancro maligno: «processo neoplastico di derivazione costale (7ª di sinistra) con invasione dei tessuti molli adiacenti». Affetta dunque da un tumore osseo di quarto grado, il più grave. Inizia così il suo personale calvario: i ricoveri all'ospedale di Torino, la chemioterapia e la radioterapia, affrontando tutto come identificazione con i dolori e la passione di Cristo. Lei conosce la gravità del suo male ma tutto trasforma in amore donato. Si consuma e si offre per amore di Gesù alla Chiesa, al Movimento dei Focolari e ai giovani. Vicino a lei amici, parenti, medici tutti si sentono edificati e respirano aria di Cielo! Nonostante le cure, la malattia avanza inesorabile nell'impotenza dei medici, così Chiara informa Chiara Lubich della volontà di interrompere le cure, scrivendole «Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all’immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia… Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua, spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi».
La fondatrice dei Focolarini nel risponderle le assegna il nome di Luce. Chiara Luce appare molto dimagrita, sofferente, fa fatica a respirare, ha forti contrazioni alle gambe e dolori, ma rifiuta la morfina per non perdere la lucidità e la consapevolezza. Intanto prepara il suo funerale, sceglie l'abito da sposa, le letture, i canti: Chiara è pronta per le sue nozze con Gesù. Alla mamma dice di non piangere perché «quando in cielo arriva una ragazza di diciotto anni, si fa festa!».
Chiara Luce muore alle 4,10 del 7 ottobre 1990, festa della beata Vergine Maria del Santo Rosario. E' beata dal 25 settembre del 2010.http://www.chiaralucebadano.it

giovedì 24 ottobre 2013

San Luigi Guanella, sacerdote

Luigi Guanella nasce a Fraciscio di Campodolcino (Sondrio) il 19 dicembre 1842 da Lorenzo che per 24 anni fu sindaco di Campodolcino e Maria mamma dolce e paziente. A dodici anni va a studiare nel collegio Gallio di Como e prosegue poi gli studi nei seminari diocesani (1854-1866). Viene ordinato sacerdote il 26 maggio 1866. Inizia il suo cammino di pastorale in varie parrocchie dedicandosi all'istruzione dei ragazzi e degli adulti, all'elevazione religiosa, morale e sociale dei suoi parrocchiani, con la difesa del popolo dagli assalti del liberalismo e con l'attenzione privilegiata ai più poveri ei bisognosi: bambini e giovani, anziani lasciati soli, emarginati, handicappati psichici, ciechi, sordomuti, storpi. Così con alcune Orsoline, che organizza in congregazione religiosa, le Figlie di S. Maria della Provvidenza, avvia la Casa della Divina Provvidenza in Como (1886), con la collaborazione di suor Marcellina Bosatta e della sorella Beata Chiara. La Casa vede subito un rapido sviluppo, allargando l'assistenza dal ramo femminile a quello maschile (congregazione dei Servi della Carità), benedetta e sostenuta dal Vescovo B. Andrea Ferrari. L'opera si estende ben presto anche fuori città: nelle province di Milano (1891), Pavia, Sondrio, Rovigo, Roma (1903), a Cosenza e altrove, in Svizzera e negli Stati Uniti d'America (1912), sotto la protezione e l'amicizia di S. Pio X.  Luigi nella sua attività pastorale e caritativa riunisce in sé i carismi di don Bosco e di don Orione. Sa coniugare lo spirito di carità del fare nel lavoro e nel sacrificio con una vita dedita alle devozioni al S. Cuore, alla Vergine Immacolata e un'ascetica austera fatta di penitenze, di preghiere, di severità e osservanza, il tutto sempre con uno stile di semplicità, misericordia e speranza gioiosa.
Muore a Como il 24 ottobre 1915.  E'stato proclamato beato da Paolo VI il 25 ottobre 1964 ed è stato canonizzato a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011. Il suo corpo è venerato nel Santuario del S. Cuore in Como.

mercoledì 23 ottobre 2013

San Giovanni da Capestrano, sacerdote

Nasce a Capestrano (L'Aquila) il 24 giugno 1386,  è figlio di una dama abruzzese e di un barone tedesco, per questo viene chiamato Giantudesco. Si  laurea brillantemente in giurisprudenza a Perugia e viene subito chiamato a lavorare nel Supremo Tribunale di Napoli. Poi è nominato giudice e governatore di Perugia; qui  nel 1416 viene fatto prigioniero dai Malaspina ed in prigione, dopo una visione di San Francesco che lo esortava a diventare frate, matura la decisione di farsi francescano, sicchè una volta tornato in libertà, rifiutandosi di tornare alla mondanità, indossa il saio e diventa amico e difensore di San Bernardino che tanto ebbe a soffrire per la riforma dell'Ordine e per l'accusa di eresia perché onorava Cristo con il famoso monogramma JHS (Jesus Hominum Salvator).   Nel 1429 viene ordinato sacerdote ed il Papa Martino V lo nomina Inquisitore dei Fraticelli e lo invia suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. Anche ministri generali dell'Ordine, nonché re e principi gli affidavano tanti incarichi tali da non permettergli di avere una stabile dimora. Intanto trovava il tempo per predicare alle folle, scrivere libri, fondare monasteri, diffondere i Monti di Pietà e compiere molti miracoli. Nell'anno 1456, felicemente regnante Papa Callisto III, l'Europa è minacciata dai Turchi alle porte di Belgrado, Giovanni vi accorre, sostenendo e incitando, per undici giorni di assedio, tra fatiche e privazioni, giorno e notte, le milizie cattoliche impegnate nei combattimenti, con l'ardore della preghiera e del coraggio, nel nome di Gesù. Il 22 luglio 1456 Belgrado è libera ed anche l'Europa. Purtroppo, a causa degli innumerevoli cadaveri che coprivano le campagne ed i luoghi teatro di combattimento, scoppia una pestilenza che miete tante altre vittime tra i quali il comandante della milizia Hunyadi ma anche san Giovanni che muore il 23 ottobre dello stesso anno a 70 anni.   

lunedì 21 ottobre 2013

Beato Carlo I d'Asburgo, Imperatore e Re

Il Principe della Corona d'Austria nasce il 17 agosto 1887 nel castello di Persenbeug, suo padre è Ottone d'Asburgo e la madre Giuseppina di Sassonia, donna ricca di fede e di carità cristiana, che ancora piccolo, lo sottrae agli istitutori dello Stato per educarlo personalmente e affidarlo poi ad ottimi maestri cattolici. Sua Altezza cresce distinguendosi per la fede, la purezza, la bontà, la carità, la generosità, l'amore per Gesù Eucaristia. A 16 anni intraprende la carriera militare: vive come uno qualsiasi dei suoi soldati. Diventa un perfetto ufficiale: sa comandare e ubbidire. Nel contempo frequenta l'università di Praga. A 20 anni parla una decina di lingue ed è molto ammirato dalle principesse d'Europa. Alla Corte di Vienna conosce la Principessa Zita di Borbone-Parma (Serva di Dio)  e se ne innamora ricambiato. Sotto la guida del gesuita Padre Andlau, Carlo e Zita si preparano al sacramento del matrimonio, pregando e facendo opere di penitenza e di carità. Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau, Mons. Bisletti, mandato dal Papa Pio X, benedice le nozze di Carlo e di Zita.
Terminato il rito, Carlo dice alla sua sposa: «E ora dobbiamo aiutarci insieme per raggiungere il Paradiso». Subito partono per Marianzell, il santuario mariano dell’Austria, dove si affidano alla Madonna. Dal matrimonio di Carlo e Zita nasceranno otto figli. Una sera del maggio 1914, Francesco Ferdinando invitò a cena, nella reggia di Vienna, Carlo e la sua famiglia. Il principe ereditario gli disse: «So che tra poco mi uccideranno. Ti affido i documenti di questa scrivania». Il 28 giugno, Francesco Ferdinando cadeva a Sarajevo e Carlo diventa l’erede al trono. Due anni dopo, alla morte di Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, Carlo d’Asburgo sale al trono imperiale, Carlo I è imperatore d'Austria e Re d'Ungheria. Questa circostanza lo vede di nuovo a Marianzell e là affida il suo Regno a Maria Santissima. Intanto la guerra iniziava su tutti i fronti d’Europa e Carlo I ha una solo pensiero: la pace. Nessuno come lui, in quel difficile momento per l' intera Europa, ascoltò il Papa Benedetto XV nel ricercare la pace non lasciando nulla di intentato, rivolgendosi a tutte le altre nazioni in guerra, mandando come intermediario suo cognato Sisto di Borbone. Occorreva arrivare alla pace. Ma il nemico principale era la massoneria che aveva giurato di far sparire dall’Europa quell’Imperatore cattolico che viveva la sua fede in chiesa come in politica e che non aveva mai permesso che una sola loggia massonica si aprisse nei suoi Stati. 
Il novembre del 1918 segnò il crollo dell’Impero. Nelle città dei suoi Stati era la rivolta. Il 12 novembre a Vienna si proclamava la repubblica. Tutto avveniva secondo i piani della massoneria. L’11 novembre, Carlo aveva abdicato al trono. Cominciava per lui l’esilio. Il 24 marzo 1919, riparava in Svizzera. Nel 1921, seguirono due tentativi da parte del sovrano di riprendere la corona d’Ungheria a cui non aveva mai rinunciato. Il 24 ottobre, insieme a Zita, fu fatto prigioniero dalle truppe di Horty, il reggente di Ungheria e consegnato agli Inglesi. Caricati su una nave, attraverso il Danubio, il Mar Nero, il Mediterraneo, Carlo e Zita furono portati nell’isola di Madera, in mezzo all’Atlantico. Ora aveva perso davvero tutto, il trono, i beni temporali, povero tra i poveri. Solo il Papa pensava a lui e ai suoi familiari. Qui tra privazioni e povertà si ammala gravemente di polmonite e il 1 aprile 1922, a soli 35 anni rende la sua bellissima anima a Dio: aveva offerto la sua vita per il bene dei suoi popoli.
Il momento della morte merita di essere conosciuto: Carlo morente e la sua sposa Zita pregano insieme il Rosario, le litanie alla Madonna e cantano il Te Deum in ringraziamento a Dio per la croce posatasi sulle loro spalle. Il cappellano gli amministra l’Unzione degli Infermi e Carlo desidera avere vicino il figlioletto Ottone: «Desidero che veda come muore un cattolico». Il sacerdote espone il Santissimo Sacramento nella stanzetta. Carlo lo adora: «Gesù, io confido in Te. Gesù, in Te vivo, in Te muoio. Gesù io sono tuo, nella vita e nella morte. Tutto come vuoi Tu».
Il sacerdote lo comunica e lui si raccoglie sereno, ilare di un’intima gioia. Zita gli dice: «Carlo, Gesù, viene a prenderti» e lui le risponde: «Oh sì, Gesù, vieni». Poi ancora: «Oh, Gesù, Gesù!». Alle ore 12 e 23 minuti Carlo I d'Austria inizia a contemplare il suo Gesù.
 Il medico che lo curava, miscredente, esclamò: «Alla morte di questo santo, devo ritrovare la fede perduta». E si convertì. Da tutta l’isola vennero a rendergli omaggio. Beatificato il 2 ottobre 2004 da Papa Giovanni Paolo II.

venerdì 18 ottobre 2013

San Luca, evangelista

Luca nacque ad Antiochia di Siria. Egli non era discepolo di Gesù di Nazaret; si convertì dopo, pur non figurando nemmeno come uno dei primitivi settantadue discepoli. Diventò membro della comunità cristiana antiochena, probabilmente verso l’anno 40. Fu poi compagno di San Paolo (Tarso, inizio I° secolo/ forse 8 d.C.-Roma, 67 ca.) in alcuni suoi viaggi. Lo si trova con l’apostolo delle genti a Filippi, Gerusalemme e Roma. Sostanzialmente suo discepolo, condivise la visione universale paolina della nuova religione e, allorché decise di scrivere le proprie opere, lo fece soprattutto per le comunità evangelizzate da Paolo, ossia in genere per convertiti dal paganesimo. Si incontrò tuttavia anche con San Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme, con San Pietro, più a lungo con San Barnaba e forse con San Marco.
 La qualifica di medico attribuita a Luca viene confermata, secondo gli studiosi, dall’esame interno delle sue opere. La sua cultura e la preparazione specifica erano sicuramente note tra le comunità di cui faceva parte. Certamente la sua cultura generale e la sua esperienza degli uomini erano piuttosto notevoli. Prove ne siano lo stile e l’uso della lingua greca nonché la struttura stessa dei suoi scritti: il terzo Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Luca coltivava anche l’arte e la letteratura. Un’antica tradizione lo vuole addirittura autore di alcune “Madonne” che si venerano ancora ai nostri giorni, come in Santa Maria Maggiore a Roma. Nulla di certo si sa della vita di Luca dopo la morte di San Paolo. Secondo la tradizione Luca morì  martire a Patrasso in Grecia intorno al primo secolo dopo Cristo.

mercoledì 16 ottobre 2013

Santa Edvige, monaca e duchessa di Slesia e di Polonia

Hedwig nasce ad Andescj in  Baviera nel 1174  e muore a Trebnitz in Polonia il 15 ottobre 1243.
 I genitori Bertoldo e Agnese, di alta nobiltà bavarese, la preparano a un matrimonio importante, facendola studiare alla scuola delle monache benedettine di Kitzingen, presso Würzburg. E a 16 anni, infatti, Edvige sposa a Breslavia (attuale Wroclaw, in Polonia) il giovane Enrico il Barbuto, erede del ducato della Bassa Slesia. Quattro anni dopo, Enrico succede al padre Boleslao e così lei diventa duchessa.
Questo territorio slesiano fa parte ancora del regno di Polonia, ma si sta germanizzando.I suoi duchi, già dal tempo di Federico Barbarossa (morto nel 1190) gravitano nell’orbita dell’Impero germanico; la feudalità locale è invece di stirpe polacca, come la maggioranza degli abitanti, ai quali però si sta mescolando una forte immigrazione di tedeschi. Edvige mette al mondo via via sei figli: Boleslao, Corrado, Enrico detto il Pio, Agnese, Sofia e Gertrude. E si rivela buona collaboratrice del marito nel difficile governo del ducato: guadagna la simpatia dei sudditi polacchi imparando la loro lingua, promuove l'assistenza ai poveri, come fanno e faranno molte altre sovrane; ma con una differenza: lei vive la povertà in prima persona, giorno per giorno, con le regole severe che si impone, eliminando dalla sua vita tutto quello che può distinguerla da una donna di condizione modesta. A cominciare dall’abbigliamento. I biografi parlano degli abiti usati che indossa, delle calzature logore, delle cinture simili a quelle dei carrettieri.
È poco fortunata con i figli, che non avranno rapporti affettuosi con lei, e che moriranno quasi tutti ancora giovani, tranne Gertrude. Suo marito, Enrico il Barbuto, muore nel 1238, e gli succede il figlio Enrico il Pio, che già nel 1241 viene ucciso in combattimento contro un’incursione mongola presso Liegnitz (attuale Legnica).
Disgrazie in serie, dunque. Ma i biografi dicono che lei le affronta ogni volta senza lacrime. Forse perché è tedesca.E fors’anche perché è molto legata all’ambiente monastico del tempo, con tutto il suo rigore. (Alle molte preghiere e pie letture, Edvige accompagna anche penitenze fisiche durissime). Eppure, quando si ritrova sola, non pensa di “fuggire dal mondo” subito, entrando in monastero. No, prima bisogna pensare ai poveri, come dirà alla figlia Gertrude, non per motivi di buona politica, ma perché i poveri sono “i nostri padroni”. E questo linguaggio richiama «la spiritualità degli Ordini mendicanti e in particolare quella dei Francescani, tra i quali Edvige, negli ultimi anni della sua esistenza, scelse il proprio confessore» (A. Vauchez, La santità nel Medioevo, ed. Il Mulino).
Entra infine nel monastero cistercense di Trebnitz (l’attuale Trzebnica) fondato da lei nel 1202. E qui vive da monaca. Anzi, da monaca superpenitente. Muore anche da monaca, chiedendo di essere sepolta nella tomba comune del monastero. Tedeschi e polacchi di Slesia sono concordi nel chiamarla santa: nel 1262, sotto papa Urbano IV, incomincia la causa per la sua canonizzazione, e nel 1267 papa Clemente IV la iscrive tra i santi. Il corpo sarà in seguito trasferito nella chiesa del monastero.

Autore:
Domenico Agasso

giovedì 10 ottobre 2013

San Daniele Comboni, vescovo e missionario

Daniele Comboni nasce a Limone del Garda in provincia di Brescia il 15 marzo 1831; fin da giovane coltiva il desiderio di diventare missionario in Africa e ordinato sacerdote nel 1854, tre anni dopo sbarca in Africa. Il primo viaggio missionario finisce presto con un fallimento: l'inesperienza, il clima avverso, l'ostilità dei mercanti di schiavi costringono Daniele a tornare a Roma. Alcuni suoi compagni si lasciano vincere dallo scoramento, egli progetta un piano globale di evangelizzazione dell'Africa. Mette poi in atto una incisiva opera di sensibilizzazione a Roma e in Europa e fonda diversi istituti maschili e femminili, oggi chiamati comboniani. Di nuovo in Africa nel 1868, Daniele può finalmente dare avvio al suo piano. Con i sacerdoti e le suore che l'hanno seguito, si dedica all'educazione della gente di colore e lotta instancabilmente contro la tratta degli schiavi. Le comunità da lui fondate seguono il modello delle riduzioni dei Gesuiti in America Latina. Spirito aperto e intraprendente, Comboni comprende presto l'importanza della stampa. Scrive numerose opere di animazione missionaria e fonda la rivista Nigrizia che è attiva ancora oggi. Negli anni 1877-78 vive insieme con i suoi missionari e missionarie la tragedia di una siccità e carestia senza precedenti e nell’autunno 1881 riprendono le epidemie: vaiolo, tifo fulminante, con strage di preti e suore in una Khartum desolata. Comboni assiste i morenti, celebra i funerali, e infine muore il 10 ottobre 1881 circondato da una folla piangente. Ha 50 anni. Il 5 ottobre del 2003, giorno della canonizzazione, Giovanni Paolo II lo definì un «insigne evangelizzatore e protettore del Continente Nero». Grazie alla sua opera e a quella dei suoi missionari il cattolicesimo in Africa ha oggi un futuro di speranza.